C’era una volta…la fisica tradizionale! direbbero i nostri lettori, più o meno piccoli…
No, non è l’incipit di Pinocchio di Collodi, ma una storia altrettanto affascinante che comincia nei primi decenni del secolo scorso quando alcuni uomini, con i loro studi e i loro esperimenti rivoluzionari cambiarono il modo di vedere il mondo: un mondo che, fino a quel momento , era come sembrava, dove spazio e tempo erano valori assoluti e un oggetto non poteva essere contemporaneamente in due luoghi diversi. L’ ultimo secolo ha dimostrato però che le cose non stanno proprio così e le cose non sono sempre come sembrano.
Punto di svolta per ribaltare le convinzioni degli scienziati è stata la scoperta, derivante dall’equazione di Einstein E=mc2 , dell’intimo rapporto tra materia ed energia, cioè che la materia è di fatto uno stato speciale dell’energia. Nell’infinitamente piccolo, tutto si complica e la meccanica di Newton non riesce a spiegare più le interazioni dei microsistemi.
La teoria dei quanti nasce agli inizi del Novecento dalla ricerca di Max Planck sulla radiazione del corpo nero e gli studi successivi di Einstein sull’effetto fotoelettrico, che portano alla scoperta della natura corpuscolare della luce e alla cosiddetta dualità onda-particella. Planck intuì come lo scambio di energia tra la materia e la radiazione avvenisse per quanti, o pacchetti discreti di energia mentre Einstein descrisse la radiazione elettromagnetica come costituita da particelle, che più tardi furono chiamate fotoni. Gli esperimenti scoprirono che alcune particelle subatomiche hanno la strana proprietà di comportarsi, secondo la situazione in cui si trovano, o come corpuscoli (materia) o come onde elettromagnetiche (energia). Il dualismo onda-particella spazza via definitivamente le fondamenta della fisica classica.
Il principio di indeterminazione, annunciato nel 1927 da Werner Heisenberg (fisico tedesco Premio Nobel per la Fisica 1932), recita che per poter determinare con precisione la posizione e la velocità (e quindi l’energia) di un corpo in movimento è necessario che noi non modifichiamo con la nostra osservazione il fenomeno che vogliamo studiare.
PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISENBERG
Esso ci dice che non è possibile misurare contemporaneamente e con estrema esattezza le proprietà che definiscono lo stato di una particella elementare. Se ad esempio potessimo determinare con precisione assoluta la posizione, ci troveremmo ad avere massima incertezza sulla sua velocità.Volendo misurare, ad es. la posizione di una particella così piccola da sfuggire dall’osservazione ad occhio nudo, con l’utilizzo di un microscopio, sempre più potente, si può pensare di individuarne la posizione con sempre maggiore precisione. Tuttavia, così facendo, noi dobbiamo illuminare la particella con un fascio di luce, ad esempio, e, così facendo, dato che la luce porta energia ed impulso, la nostra particella riceverebbe una piccola spinta che cambierebbe il suo stato di moto. E più si illumina la particella con potenti microscopi, più le si dà energia, più si cambia il suo momento, cioè la sua velocità, e meno possiamo determinare la sua velocità di partenza. In altre parole le due misure, della posizione e dell’ impulso (massa moltiplicata per la velocità) comportano un’indeterminazione complessiva.
Il principio di indeterminazione da un punto di vista concettuale significa che l’osservatore, cioè lo scienziato che fa la misura, non può mai essere considerato un semplice spettatore, ma che il suo intervento, nel misurare le cose, produce degli effetti non calcolabili, e dunque un’indeterminazione che non si può eliminare. ( cit.Giulia Pancheri – Fisico)
Con il Principio di Indeterminazione di Heisenberg si afferma una visione delle cose indeterministica e probabilistica e tutto l’universo appare come una rete dinamica dove spazio e tempo non sono più valori assoluti: tutto dipende dal rapporto tra osservatore e osservato.
Lo stesso Heisenberg ebbe a riconoscere che il reale contenuto di una teoria fisica va ben al di là della sua formulazione matematica. L’importanza di un’elaborazione teorica sta soprattutto nei nuovi concetti a cui essa dà origine. Il lavoro sul principio di indeterminazione va a intaccare nientemeno che la legge di causalità e, di conseguenza, la stessa possibilità della previsione, fino a allora garante di scientificità delle discipline della natura.
Il principio di identità trova nel principio di indeterminazione una confutazione pressoché definitiva. Si è già visto come ogni esperimento sia connotato da un forte limite oggettivo, che il semplice progresso tecnologico non può in alcun modo annullare grazie al perfezionamento degli strumenti di misurazione. È infatti un limite di principio: lo scienziato è del tutto impossibilitato a stabilire l’entità – e quindi l’identità – dell’oggetto posto sotto analisi. Non potendo essere identificato con assoluta certezza, quest’ultimo non può neppure essere definito nei termini di particella o di onda.
Con questo si assiste a una vera e propria svolta epistemologica, che elimina la nozione di certezza sostituendole quella di probabilità.
La progressiva riduzione delle antiche quattro cause aristoteliche alla sola causa efficiente si manifestò, nella fisica classica, con la progressiva identificazione della causalità in un rigoroso determinismo che si esprimeva nell’ingenua credenza di poter descrivere, prevedere e in ultima analisi imbrigliare ogni aspetto della realtà.
Il centro nevralgico del principio di indeterminazione è per l’appunto questa messa in questione della causalità rigorosa e, soprattutto, la consapevolezza di Heisenberg di non poter più fare riferimento alla nozione di causa intesa nel senso classico. Heisenberg si rendeva perfettamente conto di tutte le implicazioni che questo nuovo modo di vedere portava con sé ed è molto chiaro in proposito, quando afferma che «per la prima volta nel corso della storia l’uomo ha di fronte a sé solo se stesso» (W.Heisenberg, Natura e fisica moderna, cit., p. 35) .
In altri termini, la natura e le sue leggi, lungi dall’essere qualcosa di obiettivo, sono piuttosto condizionate dal soggetto che le osserva. Il che, forse forzando un po’ la mano, non è molto distante dal dire che sono una nostra invenzione.
Si ringraziano le fonti:
http://www.filosofico.net/inattuale/heisenberg.htm
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